
Vorrei segnalare ai nostri lettori còrsi (ma ne avranno già sentito parlare) e italiani, un romanzo veramente interessante e direi importante, scritto in còrso, ma di agevole lettura anche per i lettori italiani, L'ultima pagina, di Georges De Zerbi.
Prima di tutto diamo un breve riassunto della vicenda. Anton Paulu, còrso stabilitosi a Marsiglia, torna in Corsica per la prima volta dopo 25 anni. Ha venduto il suo commercio e ha deciso di tornarsene nel suo paese a far la vita del pensionato attivo. Giunto a San Martino, vicino a Bastia, fa risistemare la casa e ritrova vecchi amici e parenti. Poco dopo viene eletto « primu aggiuntu » del « Merre » (dal francese « Maire »), cioè vicesindaco e si dà da fare. Nel frattempo si trova in preda alla tentazione mentre incontra una amica d’infanzia, Maria Ghjuvanna, sposata con un altro amico, Ghjiseppu, che lavora a Bastia. La donna gli chiede un prestito ed è vista a casa sua, scatenando un putiferio di maldicenze in paese. Tutto verrà sistemato da Zia Maria Dumenica, detta « l’arrutina » per la sua lingua affilata, e le malelingue verranno svergognate.
Ma c’è una seconda vicenda, intrecciata con la prima, la vicenda politica. Anton Paulu, come molti Còrsi del Continente, dimostra un certo senso di superiorità nei confronti dei conterranei rimasti nell’isola e vede gli « ottonomisti » come li chiama come il fume negli occhi. Rimane sbalordito e scandalizzato quando si accorge che due giovani del paese, Ghjuvan Marcu, il figlio di Ghjiseppu e Maria Ghjuvanna, e Vincensu, sono « ottonomisti », anzi, come gli spiegano, « autunumisti ». Cerca di controbattere i loro argomenti, pur aiutandoli quando vengono ricercati dalla gendarmeria o dalla polizia, sebbene non condivida le loro opinioni. Mano mano scopre una realtà più sfumata di quanto credesse che fosse all’inizio e non riesce a ribaltare validamente l’argomentazione dei due ragazzi, per quanto sbagliata ai suoi occhi. Parlando con un suo amico che lavora in una banca di Bastia si trova confrontato a una situazione economica (e alle sue radici storiche) anch’essa insieme disastrosa e complessa con la responsabilità da far ricadere in gran parte forse sulle potenze che nel corso dei secoli si sono assicurato il dominio della Corsica. C’è sempre più simpatia tra il pensionato e i giovani « pullastroni » o « sbarazzini » oppure « biricchini » come li chiama e finisce col fare i ricettatore di armi suo malgrado per salvarli dalla gendarmeria. Senza condividere le loro idee egli ammira la loro sincerità e il loro impegno. Raccomando al lettore la favola del lupo (magro ma libero) e del cane (grasso ma con un collare). Una notte Vincensu bussa alla sua porta : Ghjuvan Marcu si è ferito durante un tentativo di attentato. Bisogna chiamare un medico e farlo curare sul posto, altrimenti, se trasferito all’ospedale di Bastia, rischia di venire arrestato. Ancora una volta il buon Anton Paulu aiuta i due giovani e Ghjuvan Marcu si salva al termine di una notte angosciosa. Vengono tuttavia arrestati entrambi e poco dopo, il telefono squilla a casa di Anton Paulu. Si capisce che a chiamare sono « quelli di l’armata di l’ombra ». Il finale rimane aperto, non si sa se Anton Paulu si è deciso a « francà u passu, vultendu l’ùltima pàgina ».
Il romanzo è interessante di per sé, ma si tratta anche di un documento che riesce a chiarire la difficile situazione politica della Corsica di tutti questi ultimi anni, le incomprensioni, ma anche le solidarietà tutt'altro che « mafiose » come una stampa continentale (e non solo) vorrebbe far credere. L'autore non si sbilancia, non compie una scelta di campo, ma riferisce, descrive.
Il libro interesserà anche il lettore italiano (oltreché il lettore còrso) con la descrizione della vita del paese, con le partite a bocce (qui occorre precisare che in Corsica quando si parla di bocce s'intende soltanto il gioco della « pétanque »). Anche Bastia viene fuori, con le sue « pisciaie », cioè le pescivendole, i ragazzi che si tuffano « a stuppinu », o « a botte », e le parole del dialetto di Bastia come « sguenciu » (riferito a una ragazza brutta) e « sanglisci » (tipo di gelato da « sandwich »).
Infatti la lingua: si tratta di un còrso sincretico, la base essendo tuttavia quella del còrso del nord, « cismuntincu » per dirla in còrso, ma non riconducibile ad una regione precisa. E' molto ricca, con alcuni francesismi ormai entrati nell'uso, che personalemente avrei preferito evitare (è chiaro che De Zerbi, egregio italianista, ne è perfettamente conscio, ma ha voluto attenersi all'uso attuale, e qui i nostri pareri differiscono, non si può essere d'accordo al cento per cento). Tra questi francesismi « azzeleratu » per « accelerato » (quando l'Adecec dà « acceleratu »), « tazzì » per « taxi », ma « tassì » sarebbe stato più conforme alla linguistica còrsa (la -x- latina dà come in italiano -s- o -ss-, anche l'Adecec dà « lussu », « tassa », perché « taxi » dovrebbe dare « tazzì »?) e avrebbe inoltre piacevolmente rievocato Alberto Sordi.
D'altro canto la lingua come abbiamo detto è ricca e mi ha consentito alcune scoperte. Non conoscevo il condizionale in -spenu, di cui mi è stato assicurato che è perfettamente bastiese (o piuttosto bastiacciu). Eppure chi scrive ha vissuto a Bastia per lunghi anni, ma è anche vero che quando uno non è di Bastia, anche quando ci vive una vita, continua a parlare la lingua del paese d'origine (nel mio caso la Castagniccia e il Capocorso), a parte qualche infiltrazione cittadina.
Il lettore sarà forse sorpreso delle citazioni tratte dalle opere liriche intrecciate con le vicende del romanzo, ma bisogna sapere che l'autore, oltre ad essere un patito è anche un dotato di una voce eccezionale. E l'opera lirica fa parte della cultura tradizionale, almeno di Bastia, o piuttosto faceva prima del grande sfacelo culturale del dopoguerra.