A Viva Voce

Alcuni uomini e alcune donne di Corsica, premurosi del rinverdimento della lingua dotta dei nostri antenati hanno deciso di pubblicare questa rivista in lingua italiana. Essa è un nostro retaggio e un puntello per mantenere viva la lingua còrsa.
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Paoli, ma quale?

 Maurizio per la nostra Lingua
Mercoledi 29 Agosto 2012

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In Corsica viene giustamente preservata ed esaltata con amore e riconoscenza la memoria di Pasquale Paoli, di quel grande patriota, soldato, politico, legislatore e riformatore illuminato che tanto ha fatto e lottato per la sua Patria da esserne considerato il Padre. 
Eppure mi sembra venga sempre più spesso tralasciato o messo in ombra, con imbarazzo o fastidio, il fatto che questo grande còrso, direi anzi "il Còrso per eccellenza", considerasse come lingua sua e dei suoi connazionali l'italiano, che volle lingua ufficiale dello Stato, di entrambe le Costituzioni e dell'Università della Corsica libera.
È evidente dunque come per lui quella del sì non fosse, come alcuni sembrano pensare, una lingua straniera, in qualche modo imposta forzatamente da una potenza dominante come quella - da lui odiatissima - della Repubblica di Genova, bensì qualcosa di legato all'identità profonda, oltre che alla storia, della Corsica.
Con le leggi e gli atti ufficiali promulgati durante i suoi governi ne fanno fede gli scritti privati, come le lettere raccolte dal Tommaseo e da altri e i documenti giacenti negli archivi. Di questi si può avere notizia grazie al sito www.radiche.eu, che alle lettere del Generale dedica un'apposita sezione, arricchita perfino da una rara  riproduzione fotografica di una missiva scritta, in italiano, al giovane Napoleone.
Proprio un noto passo di una sua lettera, contenuta nella raccolta del Tommaseo, trovo spieghi bene i sentimenti di Paoli verso la cultura italiana. Il brano, riportato peraltro anche nelle voci còrsa, inglese e italiana a lui dedicate da Wikipedia (ma non da quella in francese) non penso sia apocrifo, dato che ne vengono citate fonte e collocazione (Archivio storico italiano, serie 1, vol. XI). "Siamo còrsi per nascita e sentimento ma prima di tutto ci sentiamo italiani per lingua, origini, costumi, tradizioni e gli italiani sono tutti fratelli e solidali di fronte alla storia e di fronte a Dio… Come còrsi non vogliamo essere né schiavi né "ribelli" e come italiani abbiamo il diritto di trattare da pari con gli altri fratelli d’Italia… O saremo liberi o non saremo niente… O vinceremo con l’onore o soccomberemo (contro i francesi) con le armi in mano... La guerra con la Francia è giusta e santa come santo e giusto è il nome di Dio, e qui sui nostri monti spunterà per l’Italia il sole della libertà…". 
Immagino che questo frammento goda attualmente di scarsa popolarità in Corsica, sia per l'azzardata interpretazione in senso "filo unitario" che ne diede il Tommaseo che per l'uso strumentale fattone a suo tempo dalla propaganda fascista. 
Ritengo invece che questo scritto meriti oggi una certa attenzione e una rilettura più equilibrata e corretta, specie alla luce dell'interessante articolo "Relativismo.Variazioni sul concetto di nazione" scritto su "A Viva Voce" dal direttore Prof. Colombani. 
Tralasciando l'accenno alla lotta contro la Francia, che in quel momento Paoli considerava nemica (come sappiamo non fu sempre così), vorrei soffermarmi su alcune sue parole: "Siamo còrsi per nascita e sentimento" e "ci sentiamo italiani per lingua, origini, costumi, tradizioni".
Al contrario di quanto si può pensare, io credo che le idee di Paoli non possano essere fraintese: per lui l'unica Patria dei còrsi era e sempre sarebbe stata la Corsica. Questo però, cosa che dava per scontata e naturale, non impediva loro di sentirsi appartenenti all'Italia dell'epoca. Un'Italia che, si badi bene, non aveva nulla a che fare con quello stato politicamente unito che, anche solo come idea, era a quei tempi ancora ben al di là da venire! 
L'Italia di allora, tra l'altro più "allargata" di quella di oggi, era composta (similmente al mondo germanico) da una moltitudine di stati, staterelli e domini più o meno indipendenti e spesso l'un contro l'altro armati, uniti però da una lingua comune e dalla coscienza di appartenere storicamente ad un'unica gloriosa civiltà e ad una cultura che nei secoli tanto avevano dato al mondo intero. 
È solo diversi anni dopo la morte di Paoli, proprio per l'influenza delle nuove idee portate dalla Rivoluzione Francese e diffuse in tutta Europa dagli eserciti repubblicani e napoleonici, che comincerà a svilupparsi quel movimento tendente ad unificare i territori italiani in un solo stato che prenderà il nome di Risorgimento. 
Non possiamo quindi sapere cosa avrebbe pensato Paoli di questa aspirazione unitaria mentre è chiaro invece il suo sogno di uno stato còrso indipendente, né schiavo né ribelle ma libero, finalmente in grado di sedere nel consesso europeo alla pari con gli altri stati italiani fratelli. Un'aspirazione infranta definitivamente dalla sconfitta di Pontenuovo.
Da quel momento Paoli, uomo intelligente e pragmatico, moderno anche in questo, capì che la Corsica non possedeva le forze economiche, militari e politiche né la coesione interna sufficienti per raggiungere tale obiettivo e si rassegnò ad accettare l'idea che la sovranità formale sulla sua terra potesse anche essere sacrificata, a patto che fossero garantite ai còrsi la libertà, la possibilità di autogovernarsi e, ovviamente, l'identità culturale.
Confidò nella prima Francia rivoluzionaria, non ancora preda degli eccessi antireligiosi, nazionalisti e terroristici, poi nell'Inghilterra parlamentare di Re Giorgio ma sappiamo bene che la storia prese un altro corso.
Da quel momento, in un mondo sempre più dominato dai nazionalismi e intollerante nei confronti delle convivenze multiculturali, cominciò quella lenta ma inesorabile opera di sradicamento dei còrsi dal loro naturale ambito culturale che il Prof. Sabino Acquaviva, studioso noto a questo sito e non sospetto di revanscismo, ben descrive nella sua opera dal titolo forse un po' forte ma significativo: "La Corsica: storia di un genocidio" (Franco Angeli, Milano, 1987).
Il senso di appartenenza della Corsica all'ambito culturale italiano però stentò più che altrove a morire se ancora in un'epoca abbastanza vicina a noi, nel 1889, a centoventi anni da Pontenuovo, i còrsi che riportarono in patria le spoglie del loro eroe fecero incidere sulla sua tomba quelle parole in italiano che ancora possiamo leggere e che lui, credo, avrebbe gradito.
Oggi, trascorso un periodo di tempo pressoché uguale, quell'identità italiana che logica, storia e sentimenti avrebbero voluto fosse affiancata e non soffocata da quella francese è, cosa sconsolante, rinnegata dagli stessi còrsi!
Con la lodevole eccezione di questo sito si moltiplicano i media che predicano, per lo più in francese, una rinascita della lingua e della cultura còrse che, incomprensibilmente, si crede realizzabile solo attraverso il definitivo estirpamento di ogni radice italiana, perseguito con omissioni e stravolgimenti storici e linguistici tali da apparire talvolta comici, se non fossero espressione di uno dei più clamorosi suicidi culturali che la storia di un popolo ricordi.
Lo stesso Paoli, il Babbu, depurato da ogni traccia di "italianità" mi sembra sia stato ridotto ormai ad un personaggio artificiale, quasi da "bande dessinée", un rivoluzionario rusticano che combatte i "cattivi" (genovesi, sbrigativamente assimilati agli italiani, francesi, etc.) buono un po' per tutti e sulla bocca di tutti ma da nessuno presentato veramente nella ricchezza e nella complessità del suo essere autentico e speciale.
Guardando il suo monumento di Île Rousse (http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:L'%C3%8Ele-Rousse?uselang=it) ci si può fare un'idea "visiva" della parabola compiuta dalla Corsica negli ultimi centosessant'anni.
Sulle lapidi che circondano da quattro lati il busto in marmo realizzato nel 1852 c'è scritto: "A P. de PAOLI LIBERATORE LA PATRIA RICONOSCENTE - FONDAZIONE DELL'ISOLA ROSSA 1765 - A P. de PAOLI AMMINISTRATORE LA CITTÀ RICONOSCENTE - COSTITUZIONE CORSA 1755".
Sul basamento in pietra del monumento ci sono invece altre due lapidi, una apposta nel 1989, in occasione del centenario del ritorno delle ceneri, l'altra nel 2007, per ricordare il bicentenario della morte. In entrambe l'italiano è scomparso e con esso anche ogni accenno all'uomo di stato e al legislatore. Vi sono invece incise due frasi del grande còrso che ne esaltano, a dire il vero un po' sbrigativamente, il cuore e l'amore per la libertà. 
La prima lapide, in còrso, recita: "CORE IN FRONTE È STRADA DRITTA, O GIUVENTÙ! - CENTINARIU DI U RITORNO DI E CENNERE 1889-1989 - IN MEMORIA DI PASQUALE de PAOLI U BABBU DI A PATRIA.
Per la seconda, quella del 2007, bilingue ed ugualmente scarna, si è sentita evidentemente la necessità del francese, che viene ormai prima del còrso: "J'OSE DIRE QUE MA VIE ENTIERE A ETE UN SERMENT A LA LIBERTE." - "AGHJU L'ANIMA DI PUDE DI CHE TUTTA A MO VITA HE STATA CUNSACRATA A A SANTA LIBERTA." PASQUALE PAOLI 1807-2007.
Che dire? Avrebbe gradito quell'uomo colto e amante della civiltà dei padri vedere il suo popolo capire a stento il "Dio vi salvi Regina"? Sarebbe contento l'uomo dei Lumi, che trattava alla pari Rousseau e Voltaire, sapendo che la lingua con cui scrisse una Costituzione talmente innovativa da ispirare quella degli Stati Uniti è considerata straniera in patria e non "dialoga" più con quel caro, familiare idioma dei "babboni" che pure agonizza tra le più stravaganti "cure"? Apprezzerebbe che l'Università che porta il suo nome istruisca i suoi "zitelli", che voleva preparati come i migliori studenti di Pisa, Roma, Napoli, Bologna non usando, accanto al francese (e al còrso?) la lingua di Dante? Chissà. 
Non so se e quando potrò tornare in Corsica, da cui manco da più di vent'anni ma se riuscirò a rivederla andrò senz'altro a Stretta di Morosaglia, a visitare la tomba di Pasquale Paoli e quando mi troverò davanti a quel marmo e comincerò a leggere le parole: "Qui riposano reduci da Inghilterra ... " so già che mi commuoverò e che pensando a quanto può essere ingiusta la Storia anche con i grandi uomini mi sembrerà di sentire venir su da quell'avello il suono di un lontano, flebile lamento.

[...]"Per liquidare i popoli" diceva Milan Hübl "si comincia col privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un'altra cultura, inventa per loro un'altra storia. Dopo di che il popolo comincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato. E, intorno, il mondo lo dimentica ancora più in fretta."
"E la lingua?"
"Perché dovrebbero togliercela? Non sarà più che folclore, e prima o poi morirà certamente di morte naturale". [...]

Milan Kundera (da "Il libro del riso e dell'oblio")
 Allimanu
Domenica 30 Settembre 2012

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E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un'altra cultura, inventa per loro un'altra storia. Dopo di che il popolo comincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato. E, intorno, il mondo lo dimentica ancora più in fretta."
"E la lingua?"
"Perché dovrebbero togliercela? Non sarà più che folclore, e prima o poi morirà certamente di morte naturale". [...]

Non sarebbe quello che statte faciando voi?
 Paul Colombani
Sabato 6 Ottobre 2012

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No, ciò che no femu è cuntà a storia vera di a Corsica, quella che i Corsi ùn cunnoscenu più.
 Maurizio per la nostra Lingua
Sabato 6 Ottobre 2012

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Ciao Allimanu,

scusa ma non ho capito a chi è indirizzata la tua ultima frase.

Ti riferisci a questa rivista?

Io su "A Viva Voce" finora ho solo letto articoli che si preoccupano di salvare la cultura, la storia e la lingua corse, non di cambiarle!

Quello che ho capito è che la sua proposta è di farlo non partendo da zero e rinnegando secoli di storia ma basandosi su due realtà concrete e storicamente provate: che la lingua còrsa è strettamente legata all'Italiano (più di molte lingue locali parlate nella penisola) e che l'Italiano non è per i còrsi un idioma straniero, eredità solo di dominazioni ma è stato da questi usato in passato, Pasquale Paoli in testa, come lingua di cultura, amministrazione, politica e commercio che conviveva tranquillamente con il còrso a cui forniva, data la stretta parentela, sostegno, elementi lessicali e linfa vitale.

Delle due lingue dei còrsi una, l'italiano, è stata loro progressivamente tolta, già a partire dalla Rivoluzione, con leggi e decreti, e sostituita col francese; l'altra è stata lasciata lì a morire lentamente, come un patois destinato prima o poi a soccombere di fronte allo strapotere e all'influenza della nuova lingua con la quale, a differenza dell'italiano, ha ben poco in comune.

Cosa che, è triste dirlo, dopo più di due secoli di questa situazione si sta
puntualmente avverando, al punto che oggi si ricorre al tentativo di rianimare il còrso facendolo studiare a scuola come seconda lingua, a dei ragazzi ormai quasi esclusivamente francofoni.
Un esperimento più che legittimo, lodevole e a cui si augura successo che però, oltre ad aver dato altrove risultati deludenti, anche in Corsica mi sembra stenti a decollare.

Il messaggio di "A Viva Voce", così almeno credo di averlo inteso, è questo: perché non tentiamo di riappropriarci dell'italiano? È un idioma che è stato anche nostro; ha tradizione e prestigio pari a quelli del francese; è una delle lingue ufficiali della Comunità europea; è, da solo o accanto ad altre, lingua ufficiale in diverse entità statuali europee; nel mondo si stima sia parlato da circa 70 milioni di persone. Perché allora non tornare ad usarlo, anche come strumento di difesa e puntello del còrso a livello internazionale? Non mi sembra affatto un'idea senza senso.

Oggi un ragazzo còrso già in famiglia sente parlare prevalentemente in francese, poi studia in francese e vive in un mondo in cui tutti, istituzioni, persone, media si esprimono in francese (Persino i siti più accesamente corsisti o indipendentisti lo usano normalmente!).
Troverà facile e sarà invogliato questo giovane a studiare il còrso come seconda lingua? Quale còrso poi? Un'idioma "standardizzato", diverso da quello tradizionale usato dai nonni (che ne parlavano e scrivevano tante varietà), con molti francesismi, scritto con regole nuove studiate a tavolino che non sono quelle di un tempo e, soprattutto, come tutte le lingue in origine di uso locale e familiare, privo di quei lessici (amministrativo, giuridico, scientifico etc.) necessari ad un uso generalizzato.
Non mi meraviglia che in queste condizioni un'amministrazione tradizionalmente centralista si sia infine decisa a riconoscere e concedere al còrso una limitata autonomia.

Se l'italiano affiancasse il francese, non solo il nostro giovane studente còrso, imparando che église si dice chiesa, sanglier cinghiale, maison casa, oignon cipolla, punaise cimice, troverebbe meno difficile imparare anche il còrso, in cui queste parole si dicono chjésa, cinghjale, casa, cipòlla e cìmicia ma quest'ultimo non resterebbe un linguaggio benignamente lasciato studiare come idioma secondario e residuale ma, sotto l'ala protettiva dell'italiano potrebbe rinascere, rafforzarsi ed essere lingua ufficiale della Corsica insieme alle altre due.

Sul sito si parla infatti diffusamente dell'esperienza del Lussemburgo, che ha adottato una forma di trilinguismo che vede come lingue ufficiali il lussemburghese, il francese e il tedesco. È una soluzione interessante, molto equilibrata e garantista che sembra avere dei buoni risultati e che forse potrebbe adattarsi anche alla situazione còrsa.


Se invece con la tua considerazione finale ti riferisci al libro del Prof. Acquaviva che ho citato, ti posso dire che l'ho letto qualche anno fa e mi è sembrato un'opera sociologica e storica piuttosto accurata e documentata, proveniente da uno studioso molto rispettoso delle autonomie e delle particolarità locali e sicuramente non nazionalista.
Su questo stesso sito troverai un suo interessante articolo che lo dimostra e la citazione di una sua introduzione ad una guida turistica che prova il suo profondo rispetto per il popolo còrso.

Di altre opere postbelliche su questi argomenti scritte da italiani sinceramente non ho conoscenza. Dovresti chiedere alla redazione di "A Viva Voce". È composta da persone di grande cultura che potranno darti sicuramente notizie a riguardo.

Se infine con la tua affermazione vuoi dire che ti sembra che gli italiani in generale abbiano un'idea sbagliata della Corsica ti dico che hai ragione, ma non nel senso che probabilmente intendi tu.
Io penso che un buon ottanta/novanta per cento dei miei connazionali purtroppo sappia della Corsica a malapena che è un' isola francese che si trova sopra la Sardegna. Tutto qui.
Gli altri, visitandola negli ultimi anni in occasione delle vacanze, oltre a scoprirne la bellezza delle spiagge e dei luoghi cominciano a prendere coscienza delle sue affinità e somiglianze con l'Italia ma di certo non sono ancora tantissimi quelli che, come me, si appassionano alle vicende della sua storia, della sua lingua, del suo popolo e dei rapporti profondi avuti in passato con la mia Italia.
Quanto a qualche ristrettissima minoranza che fantastica di annessioni della Corsica all'Italia e cose simili, che è forse quella che allarma te e altri còrsi, pur essendo senz'altro rumorosa, fastidiosa e incosciente quando mette zizzania nei forum còrsi con interventi che non aiutano il riavvicinamento e l'amicizia tra còrsi e italiani, rimane comunque questo, una minoranza.

Noi Italiani non siamo tutti così e la partecipazione a questo forum ne è la dimostrazione.

A proposito. Credo che tu sia còrso. Sono contentissimo che finalmente frequentino il sito e il forum dei còrsi! È un buon segno. Vuol dire che le tesi di "A Viva Voce" in un modo o nell'altro destano interesse ed attenzione.

Vedo che il Prof. Colombani, che dirige con molta competenza ed equilibrio questo sito ha già risposto nella vostra lingua ai tuoi dubbi. Fidati, è, come gli altri animatori della rivista, una persona seria e un còrso autentico e appassionato.

Un abbraccio dall'Italia, con molta simpatia!

Maurizio



 Allimanu
Martedi 16 Ottobre 2012

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Bella cosa di cunta a storia di a corsica, ma allora cuntatela tutta, senza scieglievi i mumenti chi vi servenu pa u vostru scoppu.
A vita di i corsi sottu a i pisani e genuvesi un era mica cusi bella cumè voi a vuletè fa credè.
Senza animosita.
Allimanu
 Allimanu
Martedi 16 Ottobre 2012

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Maurizio
Belle ideie e riflessionè sul destinu della corsica pero,tra teoria e verita e comè tra nottè e giorno. Il tuo punto di vista e quello di un sogniatore idealista chè ha solu una idea sbagliata del problema della corsica.
Communquè, ti saluta con amicizia un corso spaisato.
 Paul Colombani
Martedi 16 Ottobre 2012

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Caro Allimanu
Credo che tu sia incappato nel solito equivoco. Non si tratta qui di giudicare il dominio pisano o genovese. Lasciamo questo compito agli storici. Il nostro punto di vista è culturale. Intendiamo collocare la Corsica nel suo contesto linguistico-culturale (intendendo la cultura in senso lato). E questo contesto è stato per secoli indiscutibilmente italiano. Per il resto, che Genovesi e Pisani, Fiorentini e Senesi, ecc. si siano odiati e combattuti per secoli, che parti dell'attuale Italia abbiano sofferto del dominio di altre parti della stessa Italia, non toglie che facessero parte dello stesso insieme geografico culturale. Per quanto riguarda la Corsica, gli scrittori còrsi, lo stesso Paoli, si consideravano anche loro parte di questo insieme. Paoli lottava contro i Genovesi (non solo), ma scriveva in italiano. Sarebbe stato molto sorpreso se gli avessero detto che l'italiano era da bandire perché lingua dei Genovesi (il còrso è più "italiano" del genovese). D'altro canto non ha mai dato a questo fattore culturale implicazioni politiche, tanto per spiegarci meglio, non ha mai pensato a un'Italia unita. Sarebbe fuorviante farne un precursore del Risorgimento o un patriota italiano ante litteram. Anzi, le sue aspirazioni a un Regno separato vanno contro questa interpretazione. Ma di questo Regno separato (vedi il Regno anglo-còrso), l'italiano sarebbe stato la lingua ufficiale.Per il còrso, i tempi non erano maturi. La rivalutazione delle lingue regionali (chiamate "dialetti") è un fenomeno dell'Ottocento.
Cordiali e fraterni saluti còrsi
 Allimanu
Martedi 16 Ottobre 2012

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[Ignorare]
Maurizio
Il genovesè fu imposato ai corsi senza che si potesseno diffenderè. L'atti notariali e tutti i scritti officiali erano scritti in italiano. Adesso li scriviamo in francesè, la nazionè colonialista a scambiato ma il modo di farè e semprè lo stesso.Allora vedi per forza o per amore ci debbiamo servire di parlati che non sono i nostri.
Saluti e amicizia
 Paul Colombani
Martedi 16 Ottobre 2012

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[Ignorare]
Ecco l'errore. Ma il genovese non è l'italiano, è molto più distante del corso dall'italiano. I Genovesi hanno adoperato una koinè, una lingua franca, usata da tutti in quell'area. L'italiano è diventata la lingua di comunicazione di lombardi, emiliani, veneti, napoletani ecc. e tutti si esprimevano nel discorso quotidiano in una lingua molto più distante dall'italiano che i corsi. Sono stati colonizzati da chi? Anzi, alcuni sono stati sottoposti alla Spagna e all'Austria, ma non per questo hanno adottato lo spagnolo o il tedesco.
Tu vivi in Germania, ebbene anche lì ci sono stati fino a poco tempo fa (non so adesso) dei "dialetti". E si è fatta strada una koinè basato sull'alto tedesco. Bavaresi, Austriaci, Svizzeri tedeschi parlano una lingua estranea? Imposta dal colonizzatore?
 Allimanu
Martedi 16 Ottobre 2012

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[Ignorare]
Scusa Colombani la risposta era per tè ma, ti né sei accorto.
Anchè in germania ci sono dei dialetti ma a scuola venè insignata una sola lingua. Per i colonizzatori ti faccio solu un ceno in direzzione di i tirolesi del sud che anche loro devono parlare italiano ma loro lingua e il tedesco o una lingua chi li somiglia assai. Communque non è per mè ancora l'ora di farmi pensieri per la lingua corsa, i problemi sono di tutta altra natura. Piu guardo è nutiziè e piu mi venè di piangerè. Povara corsica chi sei diventata.
 Paul Colombani
Venerdi 19 Ottobre 2012

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Caro Allimanu
Comunque per il Sud Tirolo, o Alto Adige come lo chiamano gli Italiani, ti dirò che il suo statuto attuale sarebbe un sogno per altre minoranze. E' vero che I Tedeschi devono conoscere l'italiano, ma è loro interesse, dato che il territorio fa ormai parte dell'Italia, ma c'è parità tra il tedesco e l'italiano nella regione. Puoi rendertene conto andando sul sito http://www.regione.taa.it/default_d.aspx. Vedrai che tutto è bilingue, anche il testo della Costituzione italiana è stato tradotto in tedesco. I tedescofoni hanno le loro scuole, parlano tedesco (o il loro dialetto tedesco) e lo parlano veramente, anzi il loro italiano è spesso segnato da un forte accento e capisci che la loro lingua madre è il tedesco. Sui municipi trovi Rathaus in grandi lettere e Municipio in piccolo. Ma tutto questo se lo sono conquistato gli Alto Atesini e fa spesso arrabbiare molti Italiani. Ho anche litigato con amici italiani perché difendevo le ragioni dei tedescofoni, e quando vado laggiù sto dalla loro parte. C'è anche un posto per l'altra minoranza, quella dei ladini.
 Allimanu
Venerdi 19 Ottobre 2012

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[Ignorare]
Ciao Colombani,
Anchè io sono stato un paio di voltè in Sud Tirolu, o provato tantu in citta chè a l'albergo di parlare italiano ma mi sembrava chè non li piacciava tantu,anzi, erano piu accogliente quando li si parlava tedesco, ma puo essere che io non sono troppu obiettivo e si loro sono contenti cosi, tutto va bènè.
 Maurizio per la nostra Lingua
Sabato 20 Ottobre 2012

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[Ignorare]
Caro Allimanu,

mi fa piacere vederti partecipare con tanta passione a questo forum.

Sì, hai ragione, penso di essere un po' idealista e anche romantico, altrimenti non sarei qui a frequentare questo bel sito culturale còrso con tutti i problemi che abbiamo in Italia che dovrebbero interessarmi di più!

Ti sarai anche chiesto: "Perché un "lucchese", uno straniero si appassiona così tanto alle nostre questioni?".
Non ho secondi scopi e la risposta è molto semplice. Sono stato in Corsica diverse volte, tanto tempo fa, nella seconda metà degli anni '80, e fin dal primo sbarco ho subito avuto una sensazione strana, emozionante, bella e mai provata prima, quella di essere all'estero e di sentirmi nello stesso tempo "a casa".

Conoscevo già discretamente la storia dell'Isola eppure non mi aspettavo, dopo duecento anni e più di appartenenza alla Francia, di trovarla ancora così ... "italiana". Tutto, dalla geografia alla natura, agli splendidi paesi di montagna e alle città costiere, alle chiese, al cibo, ai canti e al modo di parlare delle persone, specie quelle di una certa età, mi dava l'impressione di trovarmi in un'affascinante "altra Italia", molto simile a certe nostre contrade del centro e del sud ma nello stesso tempo con una sua particolarità ed unicità tutta da scoprire e fonte di continue sorprese.

Tutti i còrsi poi con i quali ho avuto a che fare mi hanno sempre trattato con gentilezza, generosità e grande senso di ospitalità e quando ci parlavamo usando i nostri rispettivi idiomi, anche se qualche parola era diversa e facevamo un miscuglio di còrso e italiano, ci capivamo benissimo.

Ora non so se le cose sono cambiate ma allora questa vicinanza, questa "affinità" era ancora percepibile, palpabile e ci si scherzava anche un po' su.
Ricordo per esempio la visita al sito archeologico di Filitosa. Alla fine del giro turistico il signore che mi aveva venduto i biglietti mi chiese, in italiano, se mi era piaciuto il luogo e poi, all'improvviso, girandosi di scatto e mettendosi di profilo: "Chi sono?" Di fronte alla mia espressione evidentemente un po' perplessa e sorpresa, scherzosamente deluso, mi disse: "Ma Giulio Cesare no! Guardi, stesso profilo; io mi chiamo Cesari!". Naturalmente ci salutammo con una risata e una cordiale stretta di mano.

Quella che però non dimenticherò mai è una frase che mi disse una persona (mi pare fosse una signora) che lavorava come custode presso il museo napoleonico di Ajaccio.
Io stavo guardando con interesse una lettera scritta in italiano da Carlo Buonaparte, padre di Napoleone, a Pasquale Paoli. Notando la mia curiosità la sorvegliante si mise a parlare con me in italiano e ne nacque una bella chiacchierata che lei concluse con un sorriso e queste parole dette a mezza voce che mi sono rimaste impresse nella mente: "... perché noi còrsi siamo più italiani di voi ma ... non siamo italiani!"
Credo che quella signora sia riuscita a farmi capire con una semplice frase più cose di quante ne avrei appreso leggendo diversi libri!

Ecco dunque spiegata l'origine del mio interesse: una specie di innamoramento per una terra e un popolo che ho sentito e sento ancora molto vicini.
E bada bene, questo sentimento non ha nulla a che fare con la politica; è una questione come dire, di istinto, di pancia, di cuore. È di storia, ovviamente.

Quello che percepisco ancora oggi, come all'epoca delle mie prime visite, soprattutto attraverso i siti internet che sono la mia attuale "finestra" sull'isola, è il forte desiderio di questo popolo di ritrovare e preservare un'identità che rischia di estiguersi.
La cosa che mi stupisce è che pensi di poter raggiungere questo obiettivo rinnegando le antiche radici!

Sembra che oggi in Corsica l'idea dominante sia: tanto più ci allontaniamo dalla cultura e dalla lingua italiane e tanto più ci sentiremo còrsi. L'italiano è una lingua straniera, impostaci come il francese da dei dominatori, che non ha nulla a che fare con il còrso e di cui questo non ha alcun bisogno per conservarsi, crescere o svilupparsi!

Il perché, sia dal punto di vista storico che linguistico queste tesi non siano corrette e risultino invece fuorvianti, credo lo spieghi bene e con competenza con i suoi articoli e le sue risposte sul forum il Prof. Colombani che, oltre ad essere una persona di cultura e un conoscitore della storia è soprattutto un italianista, uno specialista cioè della lingua italiana e quindi anche un esperto conoscitore dei profondi legami tra questa e il còrso.

Se poi si ha la pazienza di leggere gli articoli pubblicati anche da altri collaboratori della rivista e soprattutto dare un'occhiata ai documenti che "A Viva Voce" e anche www.radiche.eu mettono a disposizione dei lettori, ci si può rendere conto facilmente di come sulla presunta "distanza" della Corsica dall'ambito culturale e linguistico italiano si siano costruite negli anni delle "verità" piuttosto fragili che però oggi sembrano esser considerate dei dogmi indiscutibili.

Tu dici che di fronte ad altri problemi della Corsica la questione della lingua passa in secondo piano. Non so, forse hai ragione. Io però credo che la tutela della propria lingua, purché effettuata nel modo corretto e nel rispetto delle sue origini e della sua storia, sia una cosa molto importante che può influire anche su altri aspetti sensibili della vita, primo fra tutti il senso di identità e di appartenenza alla propria patria.

l'Unione Europea, l'affievolirsi dei nazionalismi esasperati, una nuova sensibilità e un nuovo rispetto per le autonomie locali credo abbiano creato delle condizioni favorevoli che potrebbero portare oggi in Corsica ad una soluzione efficace e duratura del problema della lingua e ad un conseguente rafforzamento dell'identità isolana.
Un risultato che secondo me difficilmente potrebbe però realizzarsi in maniera completa e soddisfacente senza il recupero, accanto al francese e al còrso dell'italiano, che i còrsi credo abbiano tutto l'interesse oltre che il diritto di riprendersi, se non altro perché gli è stato tolto a colpi di decreto.
Il fatto che la preoccupazione principale di amministrazioni centraliste come quella rivoluzionaria o quella del Secondo Impero sia sempre stata non tanto quella di impedire ai còrsi di parlare e scrivere in còrso quanto di farlo in italiano dovrebbe far riflettere, come la resistenza di questa lingua a scomparire per almeno mezzo secolo e più dopo la sua interdizione.

È vero, l'Italia si è comportata male con i sud tirolesi, purtroppo già prima dell'avvento della dittatura ma appena è tornata la democrazia ha garantito loro quella che credo sia una delle autonomie più ampie e "blindate" che esistano al mondo, così forte da finire talvolta per risultare discriminatoria nei confronti degli italiani che vivono o vogliono venire a lavorare in quella terra.
Se per esempio c'è bisogno di un medico in un ospedale e il candidato è italiano, costui, anche se bravissimo, deve superare un serio esame di tedesco sennò il posto non lo ottiene.
È come se in un ipotetico futuro ci fosse un posto scoperto all'ospedale di Bastia e un medico proveniente da Parigi non potesse accedervi senza sostenere un esame di còrso.

Ora che ci penso, credo che l'esempio che ho appena fatto si presti anche a spiegare quanto sarebbe utile per i còrsi riappropriarsi dell'italiano.
Se i sud tirolesi al momento di trattare questa autonomia avessero rinunciato al tedesco, loro antica e tradizionale lingua amministrativa e di cultura, puntando solo sul "südtirolerisch", l'idioma locale austro bavarese che usano fra loro, sarebbero riusciti ad ottenere le stesse vantaggiose garanzie? Avrebbero avuto lo stesso "potere contrattuale"? Ne dubito fortemente.
Così come dubito che di fronte alla prospettiva di imporre a un medico o a un funzionario l'esame in "südtirolerisch" l'Italia non avrebbe obiettato che quella sarà pure una bella lingua ma non ha senso pretenderne una così profonda conoscenza visto che non ha, a differenza del tedesco, la terminologia amministrativa, tecnica o scientifica necessaria. Anche queste considerazioni dovrebbero far riflettere.

Con ciò non voglio affermare che le lingue locali siano idiomi inferiori o di seconda categoria; tutt'altro! In certi ambiti sono anche più specifiche, efficaci, significative e complete delle lingue cosiddette "maggiori". Dico solo che pretendere di farne qualcosa che non sono e non possono essere, lingue standard buone per tutti gli usi, come si vuol fare col còrso, oltre che portare a risultati modesti significa mortificarle, stravolgerle con artifizi, livellarle privandole delle loro varietà, estraniarle dal contesto in cui si sono sviluppate e, in definitiva, farle morire.

Mi sembra che in Corsica oggi stia succedendo proprio questo. Visitando i forum dei suoi siti internet capita sempre più spesso di trovare discussioni su come debba essere tradotta in còrso, in quel "nuovo" còrso di cui tanto si parla questa o quella parola francese.
Mi domando allora: "Ma perché fare tanta fatica e stravolgere una così bella lingua infarcendola di invenzioni o francesismi quando se ne ha un'altra già bella e pronta in grado di svolgere egregiamente il compito di lingua standard?

Perché non permettere al còrso di tornare a vivere come un libero purosangue restituendo all'italiano il compito storico di lingua comune rivestito per secoli anche in Corsica lasciandogli, come ad un resistente mulo dalle spalle larghe e collaudate, il compito di affrontare i compiti più gravosi che vengono richiesti ad una lingua di uso generale?
È un'idea così assurda e impossibile?

Non dimentichiamo poi che per i còrsi, almeno quelli che sanno ancora parlare un po' la loro lingua, non si tratterebbe certo di imparare il sanscrito o l'aramaico ma semplicemente di riprendersi, credo con facilità, la lingua dei loro bisnonni, una lingua con la quale il còrso ha un livello di intercomprensione altissimo e dei legami molto più forti di quelli che ha con tante altre lingue locali italiane.

Facendo il percorso contrario, degli zitelli non più solo francofoni ma padroni anche dell'italiano imparerebbero il còrso molto più rapidamente che non partendo dal solo francese e con maggiore motivazione.

Quanto al còrso, che manterrebbe la sua genuinità, ricchezza e varietà di forme, non per questo dovrebbe rimaner "pietrificato". Avrebbe anzi la possibilità di attingere da una lingua storicamente e tradizionalmente amica e affine, senza stravolgimenti radicali o invenzioni, quei neologismi strettamente necessari per adeguarsi al passare del tempo.

Credo che molti còrsi, se provassero semplicemente a leggere un vocabolario che mette a diretto confronto la loro lingua con l'italiano, senza la mediazione del francese, che esiste ma forse non è ancora abbastanza conosciuto e pubblicizzato (Vedi su questo stesso forum la discussione "esiste un dizionario còrso-italiano italiano-còrso?") probabilmente cambierebbero idea su questa lingua che gli si vuol far credere così "lontana", "straniera" e ostile.

Come vedi caro Allimanu non ho secondi fini o scopi segreti e non ho alcuna intenzione di intromettermi nelle diatribe politiche còrse, siano esse di natura locale o nazionale e tantomeno nei rapporto dei còrsi con la Francia sui quali, come straniero, non posso e non ho diritto di metter bocca.

Le mie sono solo osservazioni di carattere culturale che esprimo dal mio osservatorio di idelista romantico che osserva le cose "dal balcone della casa accanto" e che vede con dispiacere e malinconia i còrsi rinnegare le comuni radici culturali e considerando ciò una sciagura, un inspiegabile atto di autolesionismo e, soprattutto, la perdita di un occasione irripetibile - e forse ultima - per riappropriarsi della loro identità e salvare veramente la loro lingua

Se possedessi il dono di saper disegnare credo che rappresenterei questa situazione raffigurando un uomo che con foga irresponsabile sta tagliando il grosso, antico ramo sul quale lui stesso è seduto!

Un saluto dall'Italia con simpatia e salute e pace!


 Allimanu
Lunedi 22 Ottobre 2012

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[Ignorare]
Ciao Maurizio,
Questo esposto molto interessante non mi ha imparato niente di novo: Tutto quel che scrivi lo sapevo gia. Communque una cosa non è per me sicura, era l'italiano a l'origine la lingua de i miei antenati?. Non mi posso figurare che loro non avesseno un idioma solo a loro commune. Il parlato atuale e il resultato di tante occupazione, vedi italiane, francese e tante altre. Al paese mio un cane si chiama "ghjacaru" , chi d'apresso a quel che ho letto venerebbè da una lingua indo-germana. Altre parole vengono dal spagnolo "poltru" per un asinello. E cosi che mi sembra un po facile di prendere solamente in considerazione li ultimi anni della storia della corsica. La storia della corsica a cominciato avanti che i pisani siano arrivati li. Ma se tu sei felice pensendo che l'italiano era la lingua dei corsi, allora continua a crederlo, a me non mi disturba. I pensieri sono liberi di ogni costrizione. Io non voglio comminciare una polemica, ognuno sia felice con le sue ideie.
Salute
 Maurizio per la nostra Lingua
Martedi 23 Ottobre 2012

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[Ignorare]
Caro Allimanu,

io penso che l'italiano appartenga a voi còrsi perché sebbene vi sia stato più volte proibito di farlo - l'ultima volta mi pare nel 1852 da Napoleone Terzo - avete continuato ad usarlo (sempre meno, ovviamente, per l'influenza del francese) almeno fino alla prima guerra mondiale e in qualche caso anche oltre.

Se i còrsi che hanno riportato in patria le ceneri di Paoli nel 1889 (ben 121 anni dopo Ponte Nuovo!) hanno trovato normale incidere sulla sua pietra tombale parole in italiano vuol dire che per loro questa era ancora la lingua adatta ad un simile grande evento e che la consideravano la lingua storica e di cultura della loro Patria. Del resto non poteva essere altrimenti, visto che il loro eroe, Pasquale Paoli, scriveva e creava costituzioni e leggi proprio in italiano e, prima di morire, si preoccupò affinché i giovani zitelli còrsi fossero istruiti nel migliore dei modi proprio in questo idioma.
Ora ti pare che "U Babbu di a Patria" e, tanto tempo dopo, gli uomini che lo riportarono a casa, che sicuramente erano tutti ferventi e grandi patrioti avrebbero usato e continuato ad usare l'italiano se l'avessero considerato una lingua straniera e non qualcosa che gli apparteneva? Mi sembra poco probabile, a meno che non fossero tutti dei pazzi!

E non mi si venga a dire che non conoscevano il còrso o che parlavano e scrivevano in italiano solo perché erano dei "signori", dei ricchi!
Il còrso, la loro lingua locale, familiare, colloquiale, di tutti i giorni, la conoscevano e la parlavano benissimo; semplicemente trovavano ovvio e naturale esprimersi in Italiano in certe circostanze, perché era la loro lingua di cultura, come lo era per tutti gli abitanti di quei territori dell'area italiana in cui, dopo il latino e la fase di transizione del volgare, accanto a lingue locali spesso diversissime fra loro, era stato adottato per motivi di prestigio culturale, letterario e artistico e per il senso di appartenenza ad un'unica grande civiltà il "toscano letterario". La dominazione genovese con questo fatto non c'entra proprio nulla.

L'italiano non era alternativo al còrso. Erano due lingue che convivevano da sempre venendo usate in circostanze diverse e che, essendo strettamente imparentate e molto simili, si sostenevano e alimentavano a vicenda.
Era inevitabile che dovendo poi redigere gli atti in francese, far studiare i ragazzi in francese, pregare in francese, usare il francese quando si emigrava in Francia per lavorare o studiare e partecipando alle vicende e alle guerre della Francia alla fine l'italiano sarebbe regredito fino a scomparire.
Non è un caso che parallelamente al suo indebolimento anche il còrso abbia cominciato ad andare in crisi e che la resistenza all'abbandono della antica lingua colta dell'isola sia venuta soprattutto dai pievani e dai poeti, gli uomini tradizionalmente più vicini all'anima e, rispettivamente, allo spirito di un popolo. E neppure è un caso o un segreto che proprio molti fra i grandi poeti còrsi che all'inizio del '900 cominciarono ad usare l'idioma natale nella letteratura, in funzione di recupero dell'identità isolana, fossero tutt'altro che favorevoli alla rescissione delle antiche radici culturali italiane e al definitivo abbandono della lingua di Dante.

Mi puoi quindi dire che l'italiano non ti piace, che l'Italia e gli italiani non ti sono simpatici, che pensi che il còrso ce la faccia a risorgere da solo rinnegando le sue radici, che l'italiano non deve essere più usato perché l'Italia ha occupato la Corsica durante la seconda guerra mondiale o per mille altri motivi che ti possono venire in mente ma quando mi dici che l'italiano non è appartenuto anche ai còrsi non posso che dirti, come tu dici a me, che se sei felice di crederlo continua pure a crederlo, anche a me non disturba, perché anch'io ritengo che il pensiero sia libero e non ho alcuna intenzione di fare polemiche.

Quanto al cane, non dubito che al tuo paese si chiami "ghjàcaru" - ma è anche vero che in còrso è usata pure la forma "cane" (Vedi: L'Usu córsu, Pascal Marchetti, Editions Alain Piazzola, 2a ed., 2008, pag. 133) - e che il puledro si chiami "poltru" ma credo che sottolineare queste due diversità per evidenziare la differenza tra due lingue che hanno un numero impressionante di parole ed espressioni comuni, leggermente diverse o simili non sia sufficiente. Da noi in Italia si direbbe che è come "Guardare la pagliuzza e non veder la trave"!
Figurati che simili diversità se ne trovano anche tra lo stesso toscano parlato in alcune zone e l'italiano. Per esempio l'italiano "tacchino", in francese "dinde" e in còrso, se non sbaglio "gallinacciu" ad Arezzo si dice "billo" e ad Empoli, ma anche in altre zone, "lucio". Con questo vogliamo dire allora che tra il toscano e l'italiano non ci sono legami?

Comunque, se vuoi toglierti una curiosità, vai a dare un occhiata a questo link della prestigiosa Enciclopedia Italiana, la Treccani: http://www.treccani.it/vocabolario/gallinaccio_(Sinonimi-e-Contrari)/ guarda cosa significa in italiano "gallinaccio" e dimmi poi se le nostre lingue non sono parenti!

Sempre con amicizia e simpatia, salute e pace!

Maurizio



 Allimanu
Martedi 23 Ottobre 2012

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[Ignorare]
Maurizio
Adesso siamo proprio arrivati a questa polemica che io volevo evitare. Se in parecchie lingue si trovano le stesse parole e solamente una testemonianza di relatione pre-istoriche interculturale o intercommerciale. Tutto questo non ha niente da vedere con il fatto che la lingua sia una lingua propria al paese dove vene parlata. I corsi, prima che sia arrivato l'italiano , erano secondo te muti?
Io non ho niente contro l'italiani tanto che stano in casa loro e non vogliono darmi dei lezione di cultura e di comportamento.
Per quello che volete fare non mi pare una buona soluzione. Sostituire l'italiano al francese sarebbe scegliere tra la pesta e il colera, tutte due
malatie farano morire il corso.
Tu sei stato molte volte in corsica, penso che non volevi vedere le cose come sono. L'italiano e stato e, e sempre odiato da i corsi. Perche, non lo voglio nemeno sapere. Allora se volete fare qualche cosa perche la lingua corsa non si perdi, trovate altre soluzioni e smetettela di sogniare.

Salute.
 Enrico
Mercoledi 24 Ottobre 2012

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[Ignorare]
Ciao Alimannu,

Guarda che proprio nessuno ti vuole fare diventare italiano. Anzi ,per come la vedo penso che sia molto meglio che la Corsica appartenga alla Republique piuttosto che all'Italia.
Qui stiamo solo facendo cultura , e negare le potenti compenetrazioni tra il corso e la lingua italiana mi sembra un esercizio difficile da sostenere......
Come ha già spiegato il prof. Colombani il corso è molto più vicino all'italiano dei dialetti italiani. Io sono di Milano e ti assicuro che il dialetto meneghino ,ha delle inflessioni come il francese (nei dittonghi oe-eu) e la U pronunziata alla tedesca lo allontana ancora di più dall'italiano. io sarei quindi molto meno italiano di Te....che parli una lingua parente stretto del toscano che successivamente, per convenzione, diventò la lingua ufficiale italiana. I tuoi vicini sardi parlano una lingua bella ed affascinante che non ha niente a che vedere con l'italiano , eppure non esiste ostilità all'Italia e alla lingua italiana.I corsi , che avrebbero tutto da guadagnare secondo me a dichiararsi minoranza etnica italiana, rinnegano e vorrebbero cancellare questa appartenenza. Ma gira e rigira , inventando dei mostri come il francorso o insistendo che il corso viene da Marte pur di non ricercarne la vera origine e inoltrarsi su di un percorso fuorviante.
Per ultimo ti voglio dire: ricordati di Aleria. I romani ed il latino sono sempre la matrice comune delle ns. origini linguistiche.
Ma se tutto ciò non è politicamente corretto e può dare fastidio ai filofrancesi allora puoi sostenere che è falso! Vedrai che futuro per la Corsica con la Francia.....
 Maurizio per la nostra Lingua
Mercoledi 24 Ottobre 2012

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[Ignorare]
Concordo pienamente con Enrico.

Mi rattrista invece vedere che nonostante tutte le spiegazioni del Prof. Colombani e dei collaboratori di "A Viva Voce" ancora si faccia confusione tra radici culturali e linguistiche italiane della Corsica, di cui civilmente si parla sul sito, e appartenenza all'Italia.
Dovrebbe essere piuttosto chiaro per i còrsi che oggi nessuno li vuole far diventare italiani! Eppure, chissà perché, appena si parla di certi argomenti scatta in alcuni una specie di sospettosa paura di finire in qualche modo assimilati o assorbiti dall'Italia.

Quello che sconforta e stupisce di più però è constatare come queste radici storiche, culturali e linguistiche comuni, nonostante i serissimi studi, gli abbondanti documenti e alcune palesi evidenze che ne danno illustrazione e prova non vengano riconosciute (o meglio non si vogliano riconoscere) e addirittura siano rinnegate con le argomentazioni e le teorie più fantasiose, specie in campo linguistico.

È possibile che solo pochi si accorgano che in questo modo si finisce per fare proprio il gioco di chi vuole il completo dissolvimento della identità còrsa in quella francese, a cui non resta altro da fare che rimaner tranquillo alla finestra, con le braccia conserte, ad aspettare che i còrsi portino a compimento, tra mille esperimenti, dibattiti e discussioni, il loro definitivo suicidio culturale e linguistico?

 Allimanu
Mercoledi 24 Ottobre 2012

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[Ignorare]
E torna e ritorna si finisce sempre al stesso punto. Se io non voglio l'italiano e perche sono pro-francese. Ma io non voglio ne l'italiano ne il francese, tutte due lingue diluiscono il corso di tal manera che in fine non si ritrovera piu. E voi potete spiegare quel che volete,io non l'accetero mai.Corso in corsica, italiano in italia e francese in francia.
 lavoriincorsu
Mercoledi 24 Ottobre 2012

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[Ignorare]
x allimanu:
Ma al tempo di Paoli (nel 1700) si parlava in corso giusto?!
a scuola che lingua si insegnava?
la lingua ufficiale era l' italiano (per i documenti notarili, la giustizia e nei salotti colti..) e se a scuola si insegnava l' italiano (e non il francese) e tutti comunquue parlavano in corso, allora l' italiano non danneggiava il corso,
anche i maggiori intellettuali corsi venivano a studiare nelle università italiane e per quale motivo?
per allontanarsi dalla lingua corsa? o per mantenerla in vita?
a parte tutti gli studi a cui vogliamo rifiutarci di credere, io da italiano capisco quasi tutto della lingua corsa parlata e scritta, e tu altrettanto della lingua italiana,
potremmo dire la stessa cosa di un francese?
secondo te un francese capirebbe tutto o quasi di quello che diciamo o scriviamo?

sta di fatto che il corso in corsica si sta spegnendo,
fai allora un ragionamento utilitaristico, senza credere agli studi alla storia o altro ecc.. quale lingua gioverebbe di più alla causa corsa?

ma se come dici tu Allimanu la lingua italiana al pari del francese danneggia il corso, allora l'italiano e il corso non dovrebbero avere niente a che vedere e quindi come mai spiegami il motivo per cui riusciamo a capirci e a comunicare così bene??
mistero..;-))

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