In Corsica viene giustamente preservata ed esaltata con amore e riconoscenza la memoria di Pasquale Paoli, di quel grande patriota, soldato, politico, legislatore e riformatore illuminato che tanto ha fatto e lottato per la sua Patria da esserne considerato il Padre.
Eppure mi sembra venga sempre più spesso tralasciato o messo in ombra, con imbarazzo o fastidio, il fatto che questo grande còrso, direi anzi "il Còrso per eccellenza", considerasse come lingua sua e dei suoi connazionali l'italiano, che volle lingua ufficiale dello Stato, di entrambe le Costituzioni e dell'Università della Corsica libera.
È evidente dunque come per lui quella del sì non fosse, come alcuni sembrano pensare, una lingua straniera, in qualche modo imposta forzatamente da una potenza dominante come quella - da lui odiatissima - della Repubblica di Genova, bensì qualcosa di legato all'identità profonda, oltre che alla storia, della Corsica.
Con le leggi e gli atti ufficiali promulgati durante i suoi governi ne fanno fede gli scritti privati, come le lettere raccolte dal Tommaseo e da altri e i documenti giacenti negli archivi. Di questi si può avere notizia grazie al sito www.radiche.eu, che alle lettere del Generale dedica un'apposita sezione, arricchita perfino da una rara riproduzione fotografica di una missiva scritta, in italiano, al giovane Napoleone.
Proprio un noto passo di una sua lettera, contenuta nella raccolta del Tommaseo, trovo spieghi bene i sentimenti di Paoli verso la cultura italiana. Il brano, riportato peraltro anche nelle voci còrsa, inglese e italiana a lui dedicate da Wikipedia (ma non da quella in francese) non penso sia apocrifo, dato che ne vengono citate fonte e collocazione (Archivio storico italiano, serie 1, vol. XI). "Siamo còrsi per nascita e sentimento ma prima di tutto ci sentiamo italiani per lingua, origini, costumi, tradizioni e gli italiani sono tutti fratelli e solidali di fronte alla storia e di fronte a Dio… Come còrsi non vogliamo essere né schiavi né "ribelli" e come italiani abbiamo il diritto di trattare da pari con gli altri fratelli d’Italia… O saremo liberi o non saremo niente… O vinceremo con l’onore o soccomberemo (contro i francesi) con le armi in mano... La guerra con la Francia è giusta e santa come santo e giusto è il nome di Dio, e qui sui nostri monti spunterà per l’Italia il sole della libertà…".
Immagino che questo frammento goda attualmente di scarsa popolarità in Corsica, sia per l'azzardata interpretazione in senso "filo unitario" che ne diede il Tommaseo che per l'uso strumentale fattone a suo tempo dalla propaganda fascista.
Ritengo invece che questo scritto meriti oggi una certa attenzione e una rilettura più equilibrata e corretta, specie alla luce dell'interessante articolo "Relativismo.Variazioni sul concetto di nazione" scritto su "A Viva Voce" dal direttore Prof. Colombani.
Tralasciando l'accenno alla lotta contro la Francia, che in quel momento Paoli considerava nemica (come sappiamo non fu sempre così), vorrei soffermarmi su alcune sue parole: "Siamo còrsi per nascita e sentimento" e "ci sentiamo italiani per lingua, origini, costumi, tradizioni".
Al contrario di quanto si può pensare, io credo che le idee di Paoli non possano essere fraintese: per lui l'unica Patria dei còrsi era e sempre sarebbe stata la Corsica. Questo però, cosa che dava per scontata e naturale, non impediva loro di sentirsi appartenenti all'Italia dell'epoca. Un'Italia che, si badi bene, non aveva nulla a che fare con quello stato politicamente unito che, anche solo come idea, era a quei tempi ancora ben al di là da venire!
L'Italia di allora, tra l'altro più "allargata" di quella di oggi, era composta (similmente al mondo germanico) da una moltitudine di stati, staterelli e domini più o meno indipendenti e spesso l'un contro l'altro armati, uniti però da una lingua comune e dalla coscienza di appartenere storicamente ad un'unica gloriosa civiltà e ad una cultura che nei secoli tanto avevano dato al mondo intero.
È solo diversi anni dopo la morte di Paoli, proprio per l'influenza delle nuove idee portate dalla Rivoluzione Francese e diffuse in tutta Europa dagli eserciti repubblicani e napoleonici, che comincerà a svilupparsi quel movimento tendente ad unificare i territori italiani in un solo stato che prenderà il nome di Risorgimento.
Non possiamo quindi sapere cosa avrebbe pensato Paoli di questa aspirazione unitaria mentre è chiaro invece il suo sogno di uno stato còrso indipendente, né schiavo né ribelle ma libero, finalmente in grado di sedere nel consesso europeo alla pari con gli altri stati italiani fratelli. Un'aspirazione infranta definitivamente dalla sconfitta di Pontenuovo.
Da quel momento Paoli, uomo intelligente e pragmatico, moderno anche in questo, capì che la Corsica non possedeva le forze economiche, militari e politiche né la coesione interna sufficienti per raggiungere tale obiettivo e si rassegnò ad accettare l'idea che la sovranità formale sulla sua terra potesse anche essere sacrificata, a patto che fossero garantite ai còrsi la libertà, la possibilità di autogovernarsi e, ovviamente, l'identità culturale.
Confidò nella prima Francia rivoluzionaria, non ancora preda degli eccessi antireligiosi, nazionalisti e terroristici, poi nell'Inghilterra parlamentare di Re Giorgio ma sappiamo bene che la storia prese un altro corso.
Da quel momento, in un mondo sempre più dominato dai nazionalismi e intollerante nei confronti delle convivenze multiculturali, cominciò quella lenta ma inesorabile opera di sradicamento dei còrsi dal loro naturale ambito culturale che il Prof. Sabino Acquaviva, studioso noto a questo sito e non sospetto di revanscismo, ben descrive nella sua opera dal titolo forse un po' forte ma significativo: "La Corsica: storia di un genocidio" (Franco Angeli, Milano, 1987).
Il senso di appartenenza della Corsica all'ambito culturale italiano però stentò più che altrove a morire se ancora in un'epoca abbastanza vicina a noi, nel 1889, a centoventi anni da Pontenuovo, i còrsi che riportarono in patria le spoglie del loro eroe fecero incidere sulla sua tomba quelle parole in italiano che ancora possiamo leggere e che lui, credo, avrebbe gradito.
Oggi, trascorso un periodo di tempo pressoché uguale, quell'identità italiana che logica, storia e sentimenti avrebbero voluto fosse affiancata e non soffocata da quella francese è, cosa sconsolante, rinnegata dagli stessi còrsi!
Con la lodevole eccezione di questo sito si moltiplicano i media che predicano, per lo più in francese, una rinascita della lingua e della cultura còrse che, incomprensibilmente, si crede realizzabile solo attraverso il definitivo estirpamento di ogni radice italiana, perseguito con omissioni e stravolgimenti storici e linguistici tali da apparire talvolta comici, se non fossero espressione di uno dei più clamorosi suicidi culturali che la storia di un popolo ricordi.
Lo stesso Paoli, il Babbu, depurato da ogni traccia di "italianità" mi sembra sia stato ridotto ormai ad un personaggio artificiale, quasi da "bande dessinée", un rivoluzionario rusticano che combatte i "cattivi" (genovesi, sbrigativamente assimilati agli italiani, francesi, etc.) buono un po' per tutti e sulla bocca di tutti ma da nessuno presentato veramente nella ricchezza e nella complessità del suo essere autentico e speciale.
Guardando il suo monumento di Île Rousse (http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:L'%C3%8Ele-Rousse?uselang=it) ci si può fare un'idea "visiva" della parabola compiuta dalla Corsica negli ultimi centosessant'anni.
Sulle lapidi che circondano da quattro lati il busto in marmo realizzato nel 1852 c'è scritto: "A P. de PAOLI LIBERATORE LA PATRIA RICONOSCENTE - FONDAZIONE DELL'ISOLA ROSSA 1765 - A P. de PAOLI AMMINISTRATORE LA CITTÀ RICONOSCENTE - COSTITUZIONE CORSA 1755".
Sul basamento in pietra del monumento ci sono invece altre due lapidi, una apposta nel 1989, in occasione del centenario del ritorno delle ceneri, l'altra nel 2007, per ricordare il bicentenario della morte. In entrambe l'italiano è scomparso e con esso anche ogni accenno all'uomo di stato e al legislatore. Vi sono invece incise due frasi del grande còrso che ne esaltano, a dire il vero un po' sbrigativamente, il cuore e l'amore per la libertà.
La prima lapide, in còrso, recita: "CORE IN FRONTE È STRADA DRITTA, O GIUVENTÙ! - CENTINARIU DI U RITORNO DI E CENNERE 1889-1989 - IN MEMORIA DI PASQUALE de PAOLI U BABBU DI A PATRIA.
Per la seconda, quella del 2007, bilingue ed ugualmente scarna, si è sentita evidentemente la necessità del francese, che viene ormai prima del còrso: "J'OSE DIRE QUE MA VIE ENTIERE A ETE UN SERMENT A LA LIBERTE." - "AGHJU L'ANIMA DI PUDE DI CHE TUTTA A MO VITA HE STATA CUNSACRATA A A SANTA LIBERTA." PASQUALE PAOLI 1807-2007.
Che dire? Avrebbe gradito quell'uomo colto e amante della civiltà dei padri vedere il suo popolo capire a stento il "Dio vi salvi Regina"? Sarebbe contento l'uomo dei Lumi, che trattava alla pari Rousseau e Voltaire, sapendo che la lingua con cui scrisse una Costituzione talmente innovativa da ispirare quella degli Stati Uniti è considerata straniera in patria e non "dialoga" più con quel caro, familiare idioma dei "babboni" che pure agonizza tra le più stravaganti "cure"? Apprezzerebbe che l'Università che porta il suo nome istruisca i suoi "zitelli", che voleva preparati come i migliori studenti di Pisa, Roma, Napoli, Bologna non usando, accanto al francese (e al còrso?) la lingua di Dante? Chissà.
Non so se e quando potrò tornare in Corsica, da cui manco da più di vent'anni ma se riuscirò a rivederla andrò senz'altro a Stretta di Morosaglia, a visitare la tomba di Pasquale Paoli e quando mi troverò davanti a quel marmo e comincerò a leggere le parole: "Qui riposano reduci da Inghilterra ... " so già che mi commuoverò e che pensando a quanto può essere ingiusta la Storia anche con i grandi uomini mi sembrerà di sentire venir su da quell'avello il suono di un lontano, flebile lamento.
[...]"Per liquidare i popoli" diceva Milan Hübl "si comincia col privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un'altra cultura, inventa per loro un'altra storia. Dopo di che il popolo comincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato. E, intorno, il mondo lo dimentica ancora più in fretta."
"E la lingua?"
"Perché dovrebbero togliercela? Non sarà più che folclore, e prima o poi morirà certamente di morte naturale". [...]
Milan Kundera (da "Il libro del riso e dell'oblio")