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Alcuni uomini e alcune donne di Corsica, premurosi del rinverdimento della lingua dotta dei nostri antenati hanno deciso di pubblicare questa rivista in lingua italiana. Essa è un nostro retaggio e un puntello per mantenere viva la lingua còrsa.
Forum
Sardegna. Ecco un vero popolo!
Antoni
Da utente sardo di madrelingua sarda, non so se abbia senso contrapporre le vicende di un popolo a quelle di un altro, come se solo alcuni "privilegiati" piuttosto che altri, qualora lo desiderino, potessero avanzare richieste di libertà verso il rispettivo stato. Quanto so è che indubbiamente, dal punto di vista storico e culturale, la Sardegna non fa parte dell'alveo italiano (d'altronde, Dante stesso lo affermava nel suo De Vulgari Eloquentia...) se non politicamente (dal 1720, più che altro) e, con la attuale italianizzazione massiccia (in termini linguistici, ma anche di saldo migratorio) che a più ondate i sardi subiscono, anche linguisticamente. Purtroppo, nella scuola italiana non si fa benché minimo accenno alla storia dell'isola, indi per cui molti nativi sono alienati rispetto alla propria isola e sempre meno conoscono la loro stessa lingua, che nei casi più fortunati (eccezion fatta per qualche paese montagnoso dell'interno) parlano male e a corrente alternata. Il fatto che molti sentano la propria identità come un qualcosa di "scisso" si può rinvenire in diverse indagini (fra le quali la più recente è quella universitaria di Cagliari in collaborazione con quella di Edimburgo), dalle quali emerge che, a fronte di una grande maggioranza di sardi che comunque si sente più sarda che italiana, vi è anche una cospicua minoranza (>27%, se non erro) che rigetta la (recente) identità italiana e si sente solo sarda. Considerato il caso sardo, popolo che anch'esso ha perso in gran misura gli elementi chiave per definirsi tale, non so se a quello corso sarebbe convenuta una qual certa unione politica con l'Italia. Certamente, vi sono degli indiscutibili elementi che sanciscono un legame culturale piuttosto duraturo con la Toscana: si potrebbero coltivare, limitatamente a questa sfera.
Alessio
Ha ragione professore.
Come ho scritto ieri sera - appena arrivato a casa - mi sono reso conto di questa "svista" su te quiero: ma ormai era fatta.
Ho scritto il mio post facendo delle considerazioni d'istinto e un po' «a memoria», e questo è il risultato :)
Sto cercando su internet il testo della Tesi sulle relazioni fra Còrso e Portoghese, ma non ne ho trovato traccia su Internet.
Come ho scritto ieri sera - appena arrivato a casa - mi sono reso conto di questa "svista" su te quiero: ma ormai era fatta.
Ho scritto il mio post facendo delle considerazioni d'istinto e un po' «a memoria», e questo è il risultato :)
Sto cercando su internet il testo della Tesi sulle relazioni fra Còrso e Portoghese, ma non ne ho trovato traccia su Internet.
Alessio
Quella che intendevo portare «a paragone» con il termine cheru era la SOMIGLIANZA morfologica e fonetica, NON semantica. Ma dopo tutto quello che avevo scritto, mettermi a precisare la teoria dei «falsi amici» (termini cioè simili in due lingue, ma con significati differenti) mi sembrava dispersivo. Omettendo nella mia esposizione questo concetto così importante - scrivendo in velocità e "per riassumere" - ho finito per scrivere una cosa molto poco chiara.
Riccardo
ciao caro Antoni, salve a tutti,certo che sulla"italianità" non ci sia più tanto da discuttere,visto anche lo sfruttamento di un paese che si crede "colonizzatore"è di molti sardi che si fanno prendere solo per il sedere e quindi i primi a rimetterci...siamo italiani,si anche per sbaglio,ma siamo inseriti in un contesto di cui non ne facciamo pienamente parte,credo sia già oltre il 50 % che non si senta più italiano o proprio italiano,ma fin che ci va bene cosi e "stiamo bene"niente è perduto no...saranno scelte nostre alla fine.
Riccardo
Scusate ancora,ma sbaglio o non vedo più il mio tema sulla questione Nizza-Corsica,è successo qualcosa per caso?
Antoni
Riccardo, non era mia intenzione condannare le attuali tendenze (che, al contrario di qualcheduno in "continente", hanno delle proprie ragioni storiche, un po' come in Corsica). Se vuoi consultare i dati definitivi, da pure un'occhiata al libro "Identità e autonomia in Sardegna e Scozia". Quello che mi rattrista e volevo dire è che, purtroppo per noi sardi, siamo un popolo il cui patrimonio culturale (materiale e non), a parte qualche nuraghe non tutelato e a rischio di crolli, è ora interamente distrutto. Qualcuno potrebbe senza alcun problema dire che i sardi siano diventati, paradossalmente, più italiani degli italiani! Concordo sul fatto che "saranno nostre scelte", ma dubito molto delle nostre capacità di autodeterminazione. Ora come ora, ricorda, siamo pur sempre una società in cui 1/3 della popolazione è dipendente statale e il clientelismo feudale predomina... Un saluto a tutti.
Riccardo
Buongiorno Antoni,hai ragione sull' incapacità di noi sardi sull ' autodeterminazione,ci interessiamo "poco" a noi stessi,nel senso che non sappiamo valorizzare e riconoscere le nostre potenzialità,i nostri beni,capacità che potremmo benissimo sfruttare se non fossimo così chiusi al mondo e alla consapevolezza di cambiare la nostra isola di più alla poca di quella modernità che ci cambierebbe ulteriormente...ma sai,i danni escono sempre e ci devono mostrare sempre gli altri i nostri pregi e difetti,non abbiamo già molto spirito di imprenditoria e fantasia in queste situazioni e quando ci dicono una cosa...pur sbagliata che sia la "accogliamo" al volo purchè si sta "bene" tutti insieme fino a quando non è stato fatto il danno e da lì che poi parte l' ignoranza e molte volte(fenomeno che sto notando assiduamente) la divisione tra noi sardi.
A noi fin che ci dicono che abbiamo un bel mare e quant altro stiamo in pace con noi stessi...ma poi,del resto abbiamo paura di sbagliare e andare avanti.
A noi fin che ci dicono che abbiamo un bel mare e quant altro stiamo in pace con noi stessi...ma poi,del resto abbiamo paura di sbagliare e andare avanti.
Alessio
Per Antoni (e Riccardo): il 23 febbraio hai citato un'indagine dell'Università di Cagliari in partenariato con Edimburgo (Scozia) dove possiamo osservare che circa il 27% della popolazione nutre un deciso sentimento di non-italianità.
La Scozia ha potuto indire un referendum dove il distacco dalla Gran Bretagna ha sfiorato il 45% dei consensi.
Nel 2012 in Francia è stato fatto un sondaggio per sapere chi (o meglio: quali categorie di persone) volessero l'indipendenza della Corsica dal governo di Parigi: i risultati potete vederli riassunti a questo indirizzo: http://www.atlantico.fr/decryptage/sondage-30-francais-souhaitent-que-corse-devienne-independante-jerome-fourquet-ifop-519165.html
Per rimanere sull'argomento di questo Forum, cito invece l'inchiesta svolta dallo studioso Sabino Acquaviva e riportata nel suo libro «La Corsica. Storia di un Genocidio» del 1982.
In realtà la raccolta dei dati risale ai primi anni '70, quando Acquaviva è preside dell'Università di Padova. La stessa università (con l'aiuto di professori francesi e italiani) riesce a porre un questionario di circa sessanta domande ad un campione indicativo - 789 persone - di cittadini residenti in Corsica: l'inchiesta indaga su «temi sensibili» per gli abitanti dell'isola passando dal campo socio-culturale («Può stimare una donna che ha avuto relazioni sessuali prima del matrimonio?») per arrivare al campo linguistico-politico (Insegnamento della lingua còrsa nella scuola pubblica o il «grado di indipendenza» che avrebbero voluto dallo Stato francese).
Fra queste domande - molte "precorrevano i tempi", in un certo senso - ne spicca una che secondo me merita di essere citata su questo Forum:
Domanda 57 - Laquelle de ces trois propositions est juste?
BANDA DI DENTRO (Cismonte)
Le Corse est un dialecte français 4,08%
Le Corse est un dialecte italien 30,41%
Le Corse est une langue indépendant 56,11%
P.R. (senza risposta) 9,09% [recte 9,40%]
BANDA DI FUORI (Pomonte)
Le Corse est un dialecte français 4,04%
Le Corse est un dialecte italien 27,23%
Le Corse est une langue indépendant 62,13%
P.R. (senza risposta) 6,38% [recte 6,60%]
Naturalmente, credere che «il Còrso sia un dialetto italiano» non porta in nessun caso alla conclusione che «i Còrsi sono dunque Italiani». Sabino Acquaviva cita i dati dell'inchiesta con la premessa importante che, nel voler fare una "fotografia della situazione in Corsica" (nel 1982) il più corretta possibile:
qt[
...ho cercato di fare questa fotografia attraverso un'inchiesta eseguita con l'aiuto di altri studiosi del "Laboratorio di sociologia" dell'Università di Padova che hanno svolto le interviste, tra mille difficoltà a causa dell'imprecisione degli archivi demografici dell'Isola, dell'inattendibilità dei registri e via dicendo, ma con la collaborazione di corsi e francesi, in Corsica e altrove.
Purtroppo, l'inattendibilità delle fonti di cui ci siamo potuti servire mi ha sconsigliato di eseguire «incroci [di dati]» di usare tecniche statistiche raffinate di elaborazione del materiale raccolto. Mi sono limitato ad elaborare i dati dividendo le risposte fra Banda di dentro e Banda di fuori.
L'inchiesta sul campo, bisogna anche dire, è stata condotta più di dieci anni or sono, quando i movimenti indipendentisti e autonomisti muovevano i primi passi...]qt
A quasi 40 anni di distanza dalla raccolta dati per l'inchiesta qui citata, pur tenendo conto di tutte le imprecisioni e le inesattezze possibili della ricerca, stupisce sapere che quasi 1/3 degli intervistati risultava cosciente del legame profondo e della relazione diretta che intercorreva fra l'idioma Còrso e la lingua Italiana. Notare che gli anni '70 in cui Sabino Acquaviva effettua l'inchiesta rappresentano quasi uno "spartiacque" nella storia della moderna Lingua Còrsa: sono gli anni in cui parte u riacquistu, inteso come vero e proprio «recupero» delle tradizioni della propria terra; il 1973 è l'anno in cui escono le proposte del prof. Marchetti e del suo collega Geronimi per modificare la grafia del dialetto/lingua còrsa, in modo da eliminare alcune "ambiguità ortografiche" che a loro giudizio rendevano poco chiara la Lingua isolana rispetto ad altri idiomi dalla grafìa ormai consolidata (Francese, Italiano). In sostanza, la lingua «tradizionale» di Roccu Multedo e Yvia Croce viene affiancata per la prima volta dalla langue par élaboration di Ghjacomu Thiers e altri.
Chissà i moderni cittadini còrsi cosa risponderebbero oggi alla domanda 57 ?
La Scozia ha potuto indire un referendum dove il distacco dalla Gran Bretagna ha sfiorato il 45% dei consensi.
Nel 2012 in Francia è stato fatto un sondaggio per sapere chi (o meglio: quali categorie di persone) volessero l'indipendenza della Corsica dal governo di Parigi: i risultati potete vederli riassunti a questo indirizzo: http://www.atlantico.fr/decryptage/sondage-30-francais-souhaitent-que-corse-devienne-independante-jerome-fourquet-ifop-519165.html
Per rimanere sull'argomento di questo Forum, cito invece l'inchiesta svolta dallo studioso Sabino Acquaviva e riportata nel suo libro «La Corsica. Storia di un Genocidio» del 1982.
In realtà la raccolta dei dati risale ai primi anni '70, quando Acquaviva è preside dell'Università di Padova. La stessa università (con l'aiuto di professori francesi e italiani) riesce a porre un questionario di circa sessanta domande ad un campione indicativo - 789 persone - di cittadini residenti in Corsica: l'inchiesta indaga su «temi sensibili» per gli abitanti dell'isola passando dal campo socio-culturale («Può stimare una donna che ha avuto relazioni sessuali prima del matrimonio?») per arrivare al campo linguistico-politico (Insegnamento della lingua còrsa nella scuola pubblica o il «grado di indipendenza» che avrebbero voluto dallo Stato francese).
Fra queste domande - molte "precorrevano i tempi", in un certo senso - ne spicca una che secondo me merita di essere citata su questo Forum:
Domanda 57 - Laquelle de ces trois propositions est juste?
BANDA DI DENTRO (Cismonte)
Le Corse est un dialecte français 4,08%
Le Corse est un dialecte italien 30,41%
Le Corse est une langue indépendant 56,11%
P.R. (senza risposta) 9,09% [recte 9,40%]
BANDA DI FUORI (Pomonte)
Le Corse est un dialecte français 4,04%
Le Corse est un dialecte italien 27,23%
Le Corse est une langue indépendant 62,13%
P.R. (senza risposta) 6,38% [recte 6,60%]
Naturalmente, credere che «il Còrso sia un dialetto italiano» non porta in nessun caso alla conclusione che «i Còrsi sono dunque Italiani». Sabino Acquaviva cita i dati dell'inchiesta con la premessa importante che, nel voler fare una "fotografia della situazione in Corsica" (nel 1982) il più corretta possibile:
qt[
...ho cercato di fare questa fotografia attraverso un'inchiesta eseguita con l'aiuto di altri studiosi del "Laboratorio di sociologia" dell'Università di Padova che hanno svolto le interviste, tra mille difficoltà a causa dell'imprecisione degli archivi demografici dell'Isola, dell'inattendibilità dei registri e via dicendo, ma con la collaborazione di corsi e francesi, in Corsica e altrove.
Purtroppo, l'inattendibilità delle fonti di cui ci siamo potuti servire mi ha sconsigliato di eseguire «incroci [di dati]» di usare tecniche statistiche raffinate di elaborazione del materiale raccolto. Mi sono limitato ad elaborare i dati dividendo le risposte fra Banda di dentro e Banda di fuori.
L'inchiesta sul campo, bisogna anche dire, è stata condotta più di dieci anni or sono, quando i movimenti indipendentisti e autonomisti muovevano i primi passi...]qt
A quasi 40 anni di distanza dalla raccolta dati per l'inchiesta qui citata, pur tenendo conto di tutte le imprecisioni e le inesattezze possibili della ricerca, stupisce sapere che quasi 1/3 degli intervistati risultava cosciente del legame profondo e della relazione diretta che intercorreva fra l'idioma Còrso e la lingua Italiana. Notare che gli anni '70 in cui Sabino Acquaviva effettua l'inchiesta rappresentano quasi uno "spartiacque" nella storia della moderna Lingua Còrsa: sono gli anni in cui parte u riacquistu, inteso come vero e proprio «recupero» delle tradizioni della propria terra; il 1973 è l'anno in cui escono le proposte del prof. Marchetti e del suo collega Geronimi per modificare la grafia del dialetto/lingua còrsa, in modo da eliminare alcune "ambiguità ortografiche" che a loro giudizio rendevano poco chiara la Lingua isolana rispetto ad altri idiomi dalla grafìa ormai consolidata (Francese, Italiano). In sostanza, la lingua «tradizionale» di Roccu Multedo e Yvia Croce viene affiancata per la prima volta dalla langue par élaboration di Ghjacomu Thiers e altri.
Chissà i moderni cittadini còrsi cosa risponderebbero oggi alla domanda 57 ?
Antoni
@Alessio: sì, esattamente, mi riferivo a quella ricerca accademica sardo-scozzese. Ad ogni modo, trovo che promuovere queste inchieste identitarie, per quanto assolutamente professionali, non abbia più molto senso. A parte una minoranza, la maggioranza dei sardi, immersa fin da piccoli in un ambiente scolastico al 100% italiano, ha dimenticato la propria storia, rigettato la propria lingua, reciso il legame con la propria terra. Molti sono diventati più italiani degli italiani e non provano vergogna nello sbandierare la loro "italianità" in senso razzistico contro altre culture (fra cui quella dei loro antenati): provo pena per loro.
Auguro buona fortuna ai corsi, sperando che non facciano la nostra fine di popolo alienato.
Auguro buona fortuna ai corsi, sperando che non facciano la nostra fine di popolo alienato.
Alessio
Caro Antoni,
Capisco il tuo "scoramento" di fronte a queste cose: anche in Liguria, la mia terra, il dialetto Genovese - con secoli di storia alle spalle - sta sparendo del tutto: a parte un notiziario di 5 minuti su PrimoCanale (una TV locale) e un corso di lingua nostrale che si chiama Speaking Zena, ho paura che il piacere e l'orgoglio di conoscere il Genovese sia per i suoi stessi abitanti più un "gesto di folclore" che una necessità reale.
E' anche vero che i tempi cambiano, e Il Secolo XIX (giornale locale) ha deciso di dedicare 2 pagine in spagnolo agli immigrati Latino americani: personalmente, ritengo che mostrare sia rispetto per le tradizioni che sensibiltà verso i nuovi arrivati sia la vera sfida per il futuro... Anche - anzi, soprattutto! - per un'isola grande e popolosa come la Sardegna, con due università antiche e prestigiose come Cagliari e Sassari e con un lingua sicuramente più parlata, rispettata e sostenuta (almeno nella Regione) di quanto lo sarà mai il genovese in Liguria: pensa solo ai Tabarchini!
Capisco il tuo "scoramento" di fronte a queste cose: anche in Liguria, la mia terra, il dialetto Genovese - con secoli di storia alle spalle - sta sparendo del tutto: a parte un notiziario di 5 minuti su PrimoCanale (una TV locale) e un corso di lingua nostrale che si chiama Speaking Zena, ho paura che il piacere e l'orgoglio di conoscere il Genovese sia per i suoi stessi abitanti più un "gesto di folclore" che una necessità reale.
E' anche vero che i tempi cambiano, e Il Secolo XIX (giornale locale) ha deciso di dedicare 2 pagine in spagnolo agli immigrati Latino americani: personalmente, ritengo che mostrare sia rispetto per le tradizioni che sensibiltà verso i nuovi arrivati sia la vera sfida per il futuro... Anche - anzi, soprattutto! - per un'isola grande e popolosa come la Sardegna, con due università antiche e prestigiose come Cagliari e Sassari e con un lingua sicuramente più parlata, rispettata e sostenuta (almeno nella Regione) di quanto lo sarà mai il genovese in Liguria: pensa solo ai Tabarchini!
pierangelo
Se si vuole vedere la diffusione dei cognomi corsi (o sardi) nel resto d'Italia questo sito fa al caso vostro, per i Sardi che pensano di non esseree Italiani è interessante notare come tutti i principali cognomi Sardi siano ampiamente diffusi nella penisola e quelli più diffusi nella stessa lo siano altrettando nell'Isola.
http://www.gens.info/italia/it/turismo-viaggi-e-tradizioni-italia#.VUz-IfD56fx
http://www.gens.info/italia/it/turismo-viaggi-e-tradizioni-italia#.VUz-IfD56fx
pierangelo
Se si vuole vedere la diffusione dei cognomi corsi (o sardi) nel resto d'Italia questo sito fa al caso vostro, per i Sardi che pensano di non esseree Italiani è interessante notare come tutti i principali cognomi Sardi siano ampiamente diffusi nella penisola e quelli più diffusi nella stessa lo siano altrettando nell'Isola.
http://www.gens.info/italia/it/turismo-viaggi-e-tradizioni-italia#.VUz-IfD56fx
http://www.gens.info/italia/it/turismo-viaggi-e-tradizioni-italia#.VUz-IfD56fx
WAGNER
L’ELEMENTO ITALIANO
Se avessimo voluto procedere in un ordine strettamente
cronologico, avremmo dovuto parlare dell’elemento italiano
prima che di quello catalano-spagnolo, giacché l’influenza
italiana si fa già sentire negli antichi documenti e diviene preponderante
durante la dominazione pisana nel mezzogiorno
dell’isola; ma abbiamo preferito differirne la trattazione fin
qui, perché l’influenza italiana non è mai completamente cessata,
quantunque durante la dominazione spagnola sia stata
scarsa e repressa217, e tanta più importanza ha assunto nei
tempi moderni, dacché la Sardegna è tornata nel seno della
comunità italiana.
Nel primo capitolo, in cui abbiamo tracciato la storia dell’isola
a larghe pennellate, abbiamo esposto come la Sardegna,
abbandonata a se stessa dalla fine del dominio bizantino fino
al principio del sec. XI, cominci, dopo la vittoria delle repubbliche
di Pisa e Genova sopra i Saraceni (1016), a uscire dal
suo isolamento secolare e a riallacciarsi al continente italiano,
col quale durante il medioevo non era stata in relazione, se
non per la soggezione ecclesiastica verso la Santa Sede. Dopo
quella vittoria le due repubbliche cominciano a insinuarsi nelle
faccende dell’isola e si contendono il predominio commerciale
e l’influenza politica. Tutte e due ottennero numerosi privilegi
dai giudici, e molti cittadini pisani e genovesi si stabilirono nell’isola
e fondarono nelle città i loro fondaci, dove, insieme alla
mercanzia, esercitavano su larga scala l’usura. «Potenti per ricchezze,
pei legami dell’usura, e per l’appoggio che veniva loro
dal di fuori, portavano nei vecchi giudicati lo spirito dei tempi
nuovi, il soffio delle libertà comunali, esercitando una azione
disgregatrice nello stato che li ospitava»218. Essi godevano di
numerosi privilegi commerciali e di franchigie doganali per le
loro merci. Di un tale privilegio si tratta già nella carta del
1080-85, conservata nell’Archivio di Stato di Pisa219, in cui il
giudice dice: Ego iudice Mariano de Lacon fazo istam carta
ad onore de omnes homines de Pisas pro xu toloneu ci mi
pecterunt: e ego donolislu pro ca lis so ego amicu caru e itsos
a mimi. Molti operai, soprattutto minatori e scalpellini, vennero
dalla Toscana in Sardegna e costrussero in molti luoghi,
per ordine dei giudici o di famiglie nobiliari, le chiese di stile
pisano che ancora oggi, situate spesso in regioni ormai brulle
e incolte, testimoniano dell’attività e della crescente cultura di
quell’epoca felice.
I Genovesi esercitarono la loro influenza soprattutto nella
parte settentrionale, grazie anzitutto alla famiglia Doria; i Visconti
toscani si stabilirono nel giudicato di Gallura e si insinuarono
anche nel Logudoro e nel giudicato di Cagliari. Sono
anche pisani i marchesi di Massa e Capraia, i conti di Donoratico
e della Gherardesca, i Porcari e i Bolgheri, che estendono
i loro rapporti nei giudicati di Cagliari e di Arborea.
La prevalenza che avevano i Genovesi in Corsica permise
loro di guadagnare maggiore influenza nella parte settentrionale
della Sardegna. Sotto la protezione di Genova si dichiarò
indipendente nel 1276 la città di Sassari e fondò una repubblica
sul modello dei comuni continentali, la quale conservò la
sua indipendenza fino alla conquista da parte degli Aragonesi,
ma ebbe confermati anche da questi i suoi statuti.
Dopo la conquista del giudicato di Cagliari per opera di
Oberto di Massa (1256), la civiltà italiana penetrò largamente e
dominò nella capitale e nel bacino minerario di Iglesias. Il giudicato
di Cagliari fu diviso in tre parti di cui una toccò al conte
di Capraia, una al conte della Gherardesca ed una ai Visconti,
ma Pisa si riservò il diritto di sovranità su tutte e tre.
L’epoca pisana segna per la capitale e tutto il Mezzogiorno
un periodo di floridezza e di prosperità; allora sorsero le magnifiche
opere di fortificazione, la cattedrale ed altri edifici di
Cagliari, sicché si può dire con Dionigi Scano che «per vedere
le più belle torri di Pisa è necessario portarsi a Cagliari, munita
dalla prospera repubblica del Tirreno di poderosi baluardi
e tenuta non come conquista di guerra, ma come città amata,
Chara communi Pisano».
Non può quindi stupire che già in quell’epoca elementi
italiani fossero penetrati in sardo:
Se avessimo voluto procedere in un ordine strettamente
cronologico, avremmo dovuto parlare dell’elemento italiano
prima che di quello catalano-spagnolo, giacché l’influenza
italiana si fa già sentire negli antichi documenti e diviene preponderante
durante la dominazione pisana nel mezzogiorno
dell’isola; ma abbiamo preferito differirne la trattazione fin
qui, perché l’influenza italiana non è mai completamente cessata,
quantunque durante la dominazione spagnola sia stata
scarsa e repressa217, e tanta più importanza ha assunto nei
tempi moderni, dacché la Sardegna è tornata nel seno della
comunità italiana.
Nel primo capitolo, in cui abbiamo tracciato la storia dell’isola
a larghe pennellate, abbiamo esposto come la Sardegna,
abbandonata a se stessa dalla fine del dominio bizantino fino
al principio del sec. XI, cominci, dopo la vittoria delle repubbliche
di Pisa e Genova sopra i Saraceni (1016), a uscire dal
suo isolamento secolare e a riallacciarsi al continente italiano,
col quale durante il medioevo non era stata in relazione, se
non per la soggezione ecclesiastica verso la Santa Sede. Dopo
quella vittoria le due repubbliche cominciano a insinuarsi nelle
faccende dell’isola e si contendono il predominio commerciale
e l’influenza politica. Tutte e due ottennero numerosi privilegi
dai giudici, e molti cittadini pisani e genovesi si stabilirono nell’isola
e fondarono nelle città i loro fondaci, dove, insieme alla
mercanzia, esercitavano su larga scala l’usura. «Potenti per ricchezze,
pei legami dell’usura, e per l’appoggio che veniva loro
dal di fuori, portavano nei vecchi giudicati lo spirito dei tempi
nuovi, il soffio delle libertà comunali, esercitando una azione
disgregatrice nello stato che li ospitava»218. Essi godevano di
numerosi privilegi commerciali e di franchigie doganali per le
loro merci. Di un tale privilegio si tratta già nella carta del
1080-85, conservata nell’Archivio di Stato di Pisa219, in cui il
giudice dice: Ego iudice Mariano de Lacon fazo istam carta
ad onore de omnes homines de Pisas pro xu toloneu ci mi
pecterunt: e ego donolislu pro ca lis so ego amicu caru e itsos
a mimi. Molti operai, soprattutto minatori e scalpellini, vennero
dalla Toscana in Sardegna e costrussero in molti luoghi,
per ordine dei giudici o di famiglie nobiliari, le chiese di stile
pisano che ancora oggi, situate spesso in regioni ormai brulle
e incolte, testimoniano dell’attività e della crescente cultura di
quell’epoca felice.
I Genovesi esercitarono la loro influenza soprattutto nella
parte settentrionale, grazie anzitutto alla famiglia Doria; i Visconti
toscani si stabilirono nel giudicato di Gallura e si insinuarono
anche nel Logudoro e nel giudicato di Cagliari. Sono
anche pisani i marchesi di Massa e Capraia, i conti di Donoratico
e della Gherardesca, i Porcari e i Bolgheri, che estendono
i loro rapporti nei giudicati di Cagliari e di Arborea.
La prevalenza che avevano i Genovesi in Corsica permise
loro di guadagnare maggiore influenza nella parte settentrionale
della Sardegna. Sotto la protezione di Genova si dichiarò
indipendente nel 1276 la città di Sassari e fondò una repubblica
sul modello dei comuni continentali, la quale conservò la
sua indipendenza fino alla conquista da parte degli Aragonesi,
ma ebbe confermati anche da questi i suoi statuti.
Dopo la conquista del giudicato di Cagliari per opera di
Oberto di Massa (1256), la civiltà italiana penetrò largamente e
dominò nella capitale e nel bacino minerario di Iglesias. Il giudicato
di Cagliari fu diviso in tre parti di cui una toccò al conte
di Capraia, una al conte della Gherardesca ed una ai Visconti,
ma Pisa si riservò il diritto di sovranità su tutte e tre.
L’epoca pisana segna per la capitale e tutto il Mezzogiorno
un periodo di floridezza e di prosperità; allora sorsero le magnifiche
opere di fortificazione, la cattedrale ed altri edifici di
Cagliari, sicché si può dire con Dionigi Scano che «per vedere
le più belle torri di Pisa è necessario portarsi a Cagliari, munita
dalla prospera repubblica del Tirreno di poderosi baluardi
e tenuta non come conquista di guerra, ma come città amata,
Chara communi Pisano».
Non può quindi stupire che già in quell’epoca elementi
italiani fossero penetrati in sardo:
TOSO
il problema del rapporto tra gallurese e sassarese sembra essere
ormai risolto, con l’accertamento di modalità e tempistiche d’impianto
sostanzialmente diverse, e con l’individuazione, all’interno del panorama
còrso, di aree d’origine differenti: il gallurese continua direttamente la
varietà meridionale del dialetto còrso oltremontano, come conseguenza
di un’immigrazione iniziata nel sec. XIV e di un’affermazione linguistica
consolidatasi dalla fine del Cinquecento; il sassarese ebbe origine invece
da una varietà dialettale centro-occidentale, in una fase storica caratterizzata
da un significativo influsso ligure: il suo trasferimento ebbe luogo in
una fase di più stretti rapporti della Corsica genovese con l’area turritana,
a partire dal Trecento, fino a soppiantare l’originaria varietà sarda all’inizio
dell’età moderna, o meglio, a instaurare con essa un rapporto di contiguità
destinato a protrarsi fino ad oggi; ancora diversa è la storia del maddalenino,
appendice della varietà còrsa parlata nell’immediato retroterra
di Bonifacio, particolarmente esposta al contatto col genovese parlato in
quest’ultima località, e diffusasi nell’arcipelago a partire dal Seicento.
ormai risolto, con l’accertamento di modalità e tempistiche d’impianto
sostanzialmente diverse, e con l’individuazione, all’interno del panorama
còrso, di aree d’origine differenti: il gallurese continua direttamente la
varietà meridionale del dialetto còrso oltremontano, come conseguenza
di un’immigrazione iniziata nel sec. XIV e di un’affermazione linguistica
consolidatasi dalla fine del Cinquecento; il sassarese ebbe origine invece
da una varietà dialettale centro-occidentale, in una fase storica caratterizzata
da un significativo influsso ligure: il suo trasferimento ebbe luogo in
una fase di più stretti rapporti della Corsica genovese con l’area turritana,
a partire dal Trecento, fino a soppiantare l’originaria varietà sarda all’inizio
dell’età moderna, o meglio, a instaurare con essa un rapporto di contiguità
destinato a protrarsi fino ad oggi; ancora diversa è la storia del maddalenino,
appendice della varietà còrsa parlata nell’immediato retroterra
di Bonifacio, particolarmente esposta al contatto col genovese parlato in
quest’ultima località, e diffusasi nell’arcipelago a partire dal Seicento.
PIERANGELO
@Antoni, il tuo a me pare un discorso molto di parte (la tua) quando affermi "Molti sono diventati più italiani degli italiani e non provano vergogna nello sbandierare la loro "italianità" in senso razzistico contro altre culture (fra cui quella dei loro antenati): provo pena per loro. " io provo vergogna per quelli come te, Siamo Italiani e Sardi nel contempo, questo è un dato oggettivo, lo siamo perchè è la storia che ci ha fatto tali, Lussu, Gramsci, Berlinguer erano Razzisti o padri della patria? Sardi ma anche Italiani. E' dai tempi degli etruschi che abbiamo legami indissolubili con la penisola e la Corsica, per non parlare dei Romani (della cui lingua siamo i maggiori depositari), passando dallo stato della chiesa, dai frati toscani, dalle repubbliche di Genova e Pisa, dalla forte immigrazione Corsa, Toscana, ligure, dalle nostre tradizioni Eno Gastronomiche (La Pasta nell'isola è stata introdotta dai genovesi) dalle ricorrenze che vedono Sassari, già città Ligure e Pisana, portare in processione i candelieri di pisana tradizione, così come Iglesias, La poesia improvvisata, le cattedrali romaniche, ecc.. Ma chi è qui il razzista, o semplicemente il complessato?
Antoni
@Pierangelo, certo che il mio parere è di parte... Se non lo fosse, non sarebbe un parere bensì una verità oggettiva. Il tuo non è meno "schierato", comunque, nel momento in cui stabilisci che i sardi siano *oggettivamente* italiani; asserzione effettivamente vera solo come stato giuridico, ma molto discutibile sul piano storico/culturale, su cui inviterei alla prudenza: a differenza di quanto sostiene una qual certa vulgata politica di stampo risorgimentale e poi fascista (piuttosto disprezzata dai Corsi, fra l'altro), l'Italia attuale non ha pressoché *niente* a che fare con l'impero romano, a meno di non considerare maldestramente l'Europa latina come "italiana"; inoltre, a fronte del relativamente breve periodo tardo-giudicale di dominazione pisano/genovese, dimentichi i quasi quattro secoli in cui eravamo parte dell'alveo iberico piuttosto che italiano, con tutto ciò che ne deriva (quali, più tardi, le ostilità della corona sabauda nei confronti della lingua sarda, ritenuta un pericoloso vettore "iberizzante" da eliminare al più presto). Pensa che ad Alghero vi sono persino nostalgici che rivendicano un'identità catalana, per dire. Ad ogni modo, il mio commento di sconforto si riferiva più che altro a quel tristo tipo di sardo, piuttosto diffuso purtroppo, che rinnega e disprezza tutto quanto sia di quest'isola, ma acclama come "segno di civiltà" tutto quanto sia continentale, al punto da frequentare corsi di dizione per perdere non solo la lingua, che d'altronde non sa più parlare, ma anche l'accento e somigliare così perfettamente a un nativo di Milano o Roma. Frutto di uno "identity shift" più che solo di un "language shift", per indicare quanto ormai la Sardegna sia italianizzata (e cementificata), e di una classe dirigente succuba tanto al potere spagnolo prima quanto a quello romano oggidì. Saluti da un emigrato (non complessato, ma un pochino realista).

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